Caffè in capsule: danni per l’ambiente e la salute dei consumatori

Pochi giorni fa abbiamo parlato del Caffè Quarta e del suo rifiuto categorico di produrre le capsule predosate di caffè in quanto nocive per la salute. Eccovi qualche dato circa i costi ambientali e i rischi per la salute derivanti dalla produzione e dall’utilizzo di queste capsule.
Come riporta greatitalianfoodtrade.it, “un terzo del mercato del caffè in Europa occidentale – in valore, su un totale di circa 18 miliardi di euro – è rappresentato da capsule e cialde. Il segmento continua a crescere a ritmo spedito (+9% l’anno, la media 2011-2017), in un settore viceversa stabile (+1,6%, nello stesso periodo). (1) In Italia nel solo 2018 la crescita del segmento capsule è stata 10 volte superiore a quella del macinato, +14,6% vs. +1,4%. (2)”.
A livello globale, invece, “si preconizza il raddoppio delle vendite nel periodo 2017-2025, da 15,23 a 29,2 miliardi miliardi di US$. (3) Le coffee capsules continuano a fare scuola, poiché la crescita di fatturato si accompagna a margini operativi superiori al 50%. (4) Non a caso il gruppo Nestlé – leader mondiale nell’industria alimentare – ha concentrato la gran parte degli investimenti proprio su Nespresso”.
Grandi profitti dunque, da un lato, ma l’impatto ambientale non lascia indifferenti. Sono centinaia di milioni di consumatori che ogni giorno in tutto il mondo inseriscono una capsula usa-e-getta in un piccolo elettrodomestico, per poi destinare decine di migliaia di tonnellate di rispettivi imballaggi non riutilizzabili a discariche e inceneritori. Alcuni colossi del caffè fanno vanto di utilizzare alluminio ‘riciclabile’, senza però garantire che i contenitori vengano effettivamente destinati al riciclo o spiegare che il riutilizzo del metallo comporta ulteriori sprechi di risorse ed emissioni, poiché i ‘bossoli’ usati devono venire trasportati, sminuzzati, lavati con acqua per eliminare il caffè, bruciati per eliminare la vernice, prima che l’alluminio possa venire fuso.
I materiali più utilizzati per produrre i contenitori monodose, non riutilizzabili, derivano da fonti non rinnovabili. Alluminio, polietilene (PE) e polietilentereftalato (PET), che sono minerali, petrolio e materiali inquinanti. Produrre i materiali e i contenitori, quindi, ha un costo energetico significativo e comporta emissioni di CO2 altrettanto rilevanti. L’ambiente deve farsi carico dei costi degli imballi secondari, i lussuosi astucci delle ampie collezioni di miscele ‘personalizzate’ così come dei cartoncini, inchiostri, energia ed emissioni, smaltimento.

Ridurre la produzione e riutilizzare dovrebbe essere il leit motiv per un’economia circolare e uno sviluppo davvero sostenibile.

La direttiva ‘sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio’afferma quanto segue:
 ‘Gli Stati membri provvedono a che […] siano attuate altre misure di prevenzione atte a prevenire la produzione di rifiuti di imballaggio e a ridurre al minimo l’impatto ambientale degli imballaggi. Tali altre misure preventive possono consistere in programmi nazionali, in incentivi forniti attraverso regimi di responsabilità estesa del produttore intesi a ridurre al minimo l’impatto ambientale dell’imballaggio o in azioni analoghe adottate, se del caso, sentiti gli operatori economici, le organizzazioni ambientaliste e i consumatori, e volte a raggruppare e sfruttare le molteplici iniziative prese sul territorio degli Stati membri nel settore della prevenzione’.