GIOVANNI INVITTO E LA BELLEZZA

Tutte le iniziative che promuoviamo e organizziamo col Movimento Culturale “Valori e Rinnovamento”, che ho l’onore di presiedere, hanno il fine di perseguire la Bellezza come risposta all’attuale declino sociale. Siamo convinti che la Bellezza salverà il mondo, anche perchè noi consideriamo la Bellezza un segno Etico prima ancora che Estetico. La cultura della Bellezza eleva il pensiero umano ed i comportamenti e può estendersi anche all’economia e allo sviluppo. Questo nostro convincimento è stato sempre pienamente condiviso dal feraterno amico e collega Universitario Giovanni Invitto, deceduto ieri e i cui funerali, officiati dall’arcivescovo Michele Seccia, si sono svolti stamattina in cattedrale, col quale spesso mi sono interfacciato. Per questa ragione egli fu spesso ospite e protagonista di nostre iniziative. Ecco, qui di seguito, per onorare la memoria del prof. Invitto, il bellissimo intervento che egli pronunciò il 9 settembre 2014 a un convegno in cui invitammo come relatori Giovanni e il regista Edoardo Winspeare.

Wojtek Pankiewicz

Economia e bellezza: termini compatibili e componibili?

Intervento di Giovanni Invitto

Tra le caratteristiche che una realtà comunitaria e il suo insediamento devono avere è anche la bellezza. Il problema è importante e difficile, perché non esiste la bellezza come dato oggettivo, ma è sempre lo sguardo del singolo uomo a vivere un contesto, una costruzione umana, un sito ecc. come belli o non belli. Pertanto, la bellezza non è un concetto, ma un vissuto individuale, quindi non possiamo definirlo in maniera astratta. Per di più il vissuto del singolo si forma nella comunità civile, cioè costituita da cives, dai cittadini. In ogni epoca storica e realtà territoriale, la bellezza deve corrispondere a determinate caratteristiche. Noi ci troviamo, da alcuni secoli, in una società basata sul mercato, perciò anche il cosiddetto “bello” diviene oggetto commerciale. Possiamo quindi chiamare agenzie “estetiche” le agenzie che gestiscono quello che la gente può considerare bello. Per questo alcuni rioni, case, spazi urbani possono essere belli per un determinato tempo e apparire passati, fuori moda o addirittura brutti in un altro tempo, perché le forme di comunicazione che hanno dato origine a quei modelli di bellezza non sono più le stesse. Questo discorso comporta una “cultura del bello” che in una città deve essere una bellezza diffusa.

La bellezza, però, è sempre un prodotto e un canone che variano nel tempo. Per riviverlo come prodotto storico, occorre identificarsi con quel contesto. Noi siamo nel Salento e sappiamo che nel mondo avanzato la nostra regione è famosa e giudicata bella, per il barocco. Per capire perché anche da altri continenti vengono per vedere e capire la nostra città e il nostro territorio, possiamo partire, come esempio, da un vescovo-filosofo irlandese del ‘700, George Berkeley. Questi fece un giro in Italia e tra le altre cose, in Puglia trovò il fenomeno del tarantismo e disse chiaramente che la causa non era la taranta ma un fatto psicologico. Al termine del suo viaggio scrisse una lettera ad un amico scozzese e gli disse che la più bella città d’Italia non era Roma né Napoli né Firenze, ma Lecce: “Sono appena rientrato da un viaggio per le terre più remote e sconosciute d’Italia. Vostra Signoria conosce perfettamente le città più decantate, ma forse per la prima volta sente dire che la più bella città italiana si trova in un lontano angolo del tacco. Lecce (l’antica Aletium) è, per i suoi ornamenti architettonici, la città più fastosa che abbia mai visto. Gli edifici principali sono costruiti in rustico, con pietra tagliata, e hanno tutte le porte decorate. Gli ornamenti alle finestre sono in stile dorico o corinzio, le balaustre sono in pietra. Non ho visto in nessun’altra parte d’Italia conventi tanto belli. L’errore comune è ritenere che cadano in un eccesso di ornamento. Predomina il corinzio, ordine preferito dai leccesi, soprattutto alle porte della

città, eccezionalmente belle. […] È gente veramente signorile; direi che ha ereditato la delicatezza dei Greci, un tempo abitanti di queste parti d’Italia. Lei sa che in moltissime città italiane i palazzi in verità sono belli, ma le normali abitazioni di gusto mediocre. È così anche a Roma. A Lecce invece il buon gusto è diffuso, è finanche delle case più povere”. Pesante eredità per noi.

Quindi ribadiamo che il bello non è nell’oggetto, ma nel soggetto che fruisce dell’opera: non è bello un quartiere, ma il quartiere è bello quando suscita nei cittadini un sentimento di bellezza. C’è questo nostro sforzo, che poi è lo sforzo di ogni uomo, di fare in modo che i propri vissuti siano confermati da altri. Il vissuto del bello è un vissuto che noi tendiamo a partecipare agli altri, però da questo punto di vista non ci serve il concetto. Naturalmente stiamo parlando di un certo tipo di bellezza: quello dello spazio urbano e quello del territorio nel quale vive una comunità cittadina e qui, come già detto, non si vive di solo barocco, arte, cultura, bellezze naturali, occorre un disegno, un progetto, un programma. Condivido totalmente quello che scrive Wojtek Pankiewicz quando afferma che possediamo il capitale in arte e in natura, su cui investire per un Salento con un futuro di abbondanza e benessere. Bisogna pensare ad un Salento che sia bello, armonioso, agevole, amato da chi lo abita e da chi lo visita.