Il “non detto” nel mondo delle relazioni

Il primo degli assiomi sulla comunicazione è l’affermazione che il comportamento umano implica sempre una dimensione comunicativa, ossia l’uomo non può non-comunicare. Ogni sua azione è infatti espressione di una determinata intenzionalità e così anche la rinuncia a prendere la parola– il silenzio appunto – è uno degli elementi dell’interazione comunicativa come lo sono la parola, il gesto, il modo di vestire, il modo di prendersi cura di sé, le posture che si assumono.

Nel comunicare si incontrano due modalità di silenzio contrapposte:  i silenzi di apertura e i silenzi di chiusura: i primi sono espressione di pienezza, di ascolto e comprensione di ciò che si muove dentro di noie negli altri, invece gli ultimi sono espressioni di vuoto, di durezza, di difficoltà e fragilità di chi chiude la porta al dialogo, è assenza di comunicazione, è interruzione, frattura, distacco.

Vorrei considerarequi solo il silenzio di chiusura, quello ostentato, che vuole comunicare, ma senza accollarsi la responsabilità del confronto.

Definirei il “non detto” come una voluminosa assenza,si realizza quando nella relazione una parte cerca il confronto e l’altro glielo nega. Il non detto è viscido e spesso anche le ragioni del silenzio sono non dette. Quindi è il silenzio che parla.Si scappa anziché affrontare la relazione con l’altro.

Il non detto è un’istanza di comunicazione ambigua, disorientante, non chiara, asimmetrica. Significa impedire all’altro di relazionarsi e di farlo con gli stessi mezzi, ma ad armi dispari. Spessoil non detto prende le mosse da una debolezza e per recuperare terreno lo fa con un atto di forza. In questo suo porsi, nascondendosi, spesso agisce chi vuole suscitare senso di colpa oppure vuole sottolineare un concetto che difficilmente arriverà chiaro all’interlocutore.

Il non detto diventa un problema quando, di fatto, non usando le parole per trasmettere un contenuto, magari di rancore, si evitadi esporsi, cioè di mettere in conto il rischio della relazione. L’altro viene sottratto degli strumenti razionalmente controllabili – le parole, i messaggi espliciti – ma viene suo malgrado posto nella condizione di confrontarsi con contenuti ambigui e sfuggenti. In modo tendenzialmente scorretto si affida la comunicazione ai sottintesi, ai vuoti, alle espressioni facciali, meglio ancora alle supposizioni. La sfera dell’interpretare subentra a quella del capire. Una nuvola di fumo sostituisce la trasparenza.

A volte chi usa “non dire” ciò che prova o pensa vuole evitare, anziché suscitare, delle reazioni ad esempio vuole evitare un conflitto. La nostra storia personale può portarci a comprendere che, salvo determinati casi, è meglio saper gestire un conflitto che si fa confronto, apertura e conoscenza dei limiti propri e altrui, che far silenzio, che implica l’interruzione della comunicazione, non amore per se stessi e per l’altro,cosa che,inevitabilmente,può portare una relazione a spegnersi.

Tra l’altro non è mai prevedibile quali saranno le reazioni dell’altro, come interpreterà il non detto: è vero che la comunicazione non è mai veramente lineare e che non sempre si è abili nel comunicare in modo non giudicante e che,anche quando si usano le parole, il feedback dell’interlocutore è imprevedibile; tuttavia, proprio in virtù della potenziale difficoltàinsita nel comunicare, meglio mettere “carne sul fuoco” anziché toglierla per stimolare riflessioni incontrollabili, che possono sortire gli effetti opposti a quelli desiderati. Quindi è sempre meglio stimolare, cercare il confronto, che tacere e negarsi, chiudersi e perdere occasioni di crescita e consapevolezza; meglio creare relazioni intime, che vuoti silenzi di negazione; meglio affrontare la rabbia e la paura che ritirarsi negli angoli dell’inespresso e rischiare di rovinare una relazione a cui teniamo, se vi teniamo davvero.

Simona Greco

Direttrice Consultorio Diocesano “La Famiglia”