di Simona Greco Direttrice del Consultorio Diocesano “La Famiglia”
Quando i figli varcano la soglia dell’adolescenza, diventano più chiusi e silenziosi, si allontanano dai genitori e si rintanano nel loro mondo, comparendo molte volte solo al momento dei pasti o per qualche richiesta, paghetta o favore a mamma e a papà. D’altro canto in loro aumenta il bisogno di intimità con i propri coetanei in modo direttamente proporzionale al bisogno di prendere le distanze dagli adulti, i quali possono percepire tale chiusura come avversione nei loro confronti, preoccuparsi e andare in allarme, ma non è così: il bisogno di autonomia è un sano bisogno di crescita.
In questo periodo di forzata clausura la situazione sembra complicarsi particolarmente.
Infatti con il sopravvento del coronavirus, le cose per i nostri figli adolescenti sono precipitosamente cambiate: dover rimanere isolati in casa sembra essere una vera e propria tortura. Soprattutto per chi era abituato a tanti impegni quotidiani, in compagnia di decine di coetanei. Hanno perso le routine a cui erano abituati. Di frequente compare sui loro voltie nelle loro parole espressioni di tristezza, paura e noia: tristezza per tutto ciò che a loro manca, per i progetti saltati, le aspettative deluse, per i bisogni esistenziali frustrati, per la fatica della convivenza e la ripetitività del quotidiano che è animata sempre dagli stessi attori; la paura di perdere le persone lontane, gli amici, le fidanzate, le cose che a loro piace fare. Non sanno che farsene di tutto questo tempo lento e si annoiano: l’aspetto positivo è che dal punto di vista evolutivo è proprio la noia che ci ha permesso e ci permette tuttora di tirare fuori la curiosità, ottimo stimolo per ricercare nuove opportunità per noi stessi, per la nostra crescita personale.
Una cosa è certa, i nostri figli adolescenti stanno dovendo sperimentare fortemente il significato delle parole “ responsabilità” e “sacrificio” per se stessi, ma soprattutto per gli altri. Non c’è cosa più difficile da digerire che essere privati della propria libertà e noi abbiamo chiesto loro di stare “imprigionati” proprio in una fase della vita che per definizione deve stare nel fuori, vivere di esplorazione e di relazione.
I nostri figli non sanno che in fondo dentro questo sacrificio c’è un importante allenamento alla vita fatta non solo di piaceri e soddisfazioni, ma anche di fatiche, frustrazioni. Dietro a tutto questo vi è un grande insegnamento: non cedere allo sconforto, ma sapersi inventare la vita anche quando tutti i progetti vanno in fumo, saper essere resilienti ed utilizzare in modo positivo tutte le risorse a propria disposizione.
In passato al tempo dei miei nonni tutti facevano esperienze di privazione: o andavano in guerra ovedevano da vicino le conseguenze della guerra, come in preparazione all’adultità nel proprio percorso di crescita. Ora, questa non è una guerra, abbiamo da mangiare e tutto ciò che ci occorre per sentirci al sicuro, ma certamente stiamo chiedendo loro una quantità di sacrifici impensabili pochi giorni fa e ora necessari. Stiamo chiedendo tanto e si stanno dimostrando all’altezza.
Questo periodo finirà e, se sapranno utilizzarlo al meglio, beh, sarà un tempo ben speso!