Giornalista di Rai3 e volto noto della tv, dopo essere stata inviata per PiazzaPulita, Francesca Nava oggi è una delle voci del talk di Lucia Annunziata Mezz’Ora in Più e con la sua racconta il cuore del problema coronavirus da uno dei luoghi maggiormente colpiti, Bergamo, la sua città, le cui immagini in questi giorni hanno fatto capitolare anche gli scettici.
Dalla sua testimonianza, rilasciata al nostro giornale, apprendiamo più da vicino cosa vuol dire coronavirus in quelle zone, cosa si poteva fare e non è stato fatto, colpe e mancanze di questo governo.
Crede che il contenimento del contagio sia stato viziato dalla volontà di difendere gli interessi economici del Paese?
“La Cina ci ha insegnato come si debella il virus, possiamo dire che noi come paese democratico abbiamo avuto delle resistenze, dei ritardi che hanno condizionato il “lockdown”. Ad oggi non possiamo affermare di avere un sistema totale di contenimento, ne del distanziamento sociale e nemmeno della circolazione di merci e persone, questo inevitabilmente lascia spazio alla circolazione del virus. Parlando con molti epidemiologi, anche pochi giorni fanno la differenza quando si è di fronte ad una pandemia di questo tipo: senza un lockdown completo e totale il rischio è quello di allungare una sorta di agonia, rischiando di allungare di diversi mesi questo isolamento. Affermare che il governo non abbia ceduto alle pressioni dell’industria sia sbagliato, sicuramente ci sono state delle pressioni a livello locale, a livello nazionale, soprattutto dalla regione Lombardia, la più colpita e considerata la locomotiva d’Italia. Fare una chiusura nel nostro Paese come quella cinese è molto più difficile, anche per questo il governo ha tentennato nel mettere al primo posto la salute pubblica degli italiani perché c’erano degli interessi economici da proteggere. Complici anche gli slogan come “Milano non si ferma”, “Bergamo non si ferma”, possiamo dire che stiamo pagando in termini di sovraccarico delle strutture sanitarie, in termini di contagi e di morti il fatto di non aver chiuso tutto (soprattutto nei paesi come Nembro e Alzano)”.
Che situazione vive Bergamo in questo momento?
“A Bergamo la situazione è drammatica e lo è da diverse settimane, da prima che si avesse contezza nel resto d’Italia di quello che stava avvenendo. Essendo io di Bergamo, avendo la famiglia che vive lì, ovviamente ho delle informazioni di prima mano. Ho tanti amici che lavorano in ospedale, tanti medici di base che stanno vivendo questo dramma. Già da dicembre si sono trovati a visitare persone con polmoniti virali e ad oggi possono affermare che fossero forme di coronavirus e gli hanno visitati senza protezione, senza mascherine. Oggi il prezzo più alto di questa tragedia la stanno vivendo proprio i medici di famiglia: più di cento sono ammalati, decine sono morti. Fino a 15 giorni fa hanno continuato a visitare senza protezione alcuna e tra l’altro Bergamo vive il dramma di non poter seppellire e dare l’ultimo saluto ai propri cari. Questo virus sta colpendo anche persone giovani, persone che hanno lavorato praticamente fino ad oggi. Adesso bisogna capire quali fabbriche si fermeranno, ma fino a sabato e domenica le persone a Bergamo hanno continuato a lavorare. Questo picco pandemico proprio nella mia città, mi ha talmente colpito che ho deciso di indagare e ho scoperto delle anomalie molto gravi che sono avvenute nell’ospedale di Alzano Lombardo, dove sono stati diagnosticati dei casi di coronavirus e l’ospedale è stato chiuso e poi riaperto. Ho avuto delle testimonianze da parte di operatori sanitari che mi hanno raccontato come all’interno dell’ospedale non si siano assolutamente rispettati i protocolli e dove è stata messa a repentaglio la salute dei cittadini. Cittadini infettati, che poi hanno circolato liberamente per la provincia, per la regione e sono andati addirittura oltre regione, diventando vettore di contagio. La zona di Alzano e Nembro è ricca di industrie e questo fattore ha sicuramente influito nella mancata creazione di una zona rossa. Gli epidemiologi, l’ISS aveva consigliato di chiudere Alzano e Nembro e farne zona rossa come fatto a Lodi e Codogno con ottimi risultati, ma questo non è stato fatto e ad oggi possiamo dire su basi scientifiche che non aver chiuso i comuni di Nembro e Alzano Lombardo è stata sicuramente la causa di questo picco di contagi e di morti che poi è avvenuto in tutta la bergamasca e in Lombardia.”
Si è puntato molto il dito sui tagli agli ospedali operati negli ultimi anni: questo potrà essere un importante spunto di riflessione quando tutto sarà finito?
“Negli ultimi dieci anni tra promesse non mantenute e tagli possiamo parlare di definanziamento di 37 miliardi al servizio sanitario pubblico. Quello che sta succedendo oggi ha trovato anche un sistema sanitario d’eccellenza come quello lombardo impreparato fondamentalmente per un motivo ben preciso: la Lombardia si è trovata ad affrontare un vero e proprio tsunami, un numero troppo alto di casi e troppo gravi in una modalità di tempo contenuta. Tra l’altro in Lombardia quello che dicono molti scienziati è che si è avuta quella che sostanzialmente viene chiamata “l’epidemia ospedaliera”, cioè tanti operatori sanitari contagiati che poi hanno contagiato a loro volta molti pazienti in ospedale, creando un effetto domino che ha fatto collassare tutto il sistema.”
Lei ha espresso una forte opinione rispetto all’operato del governo, definendolo inadeguato. Ci spiega dove l’esecutivo ha sbagliato a suo giudizio?
“In Italia manca un vero e proprio piano pandemico nazionale, l’ultimo fatto è stato nel 2006 e non è stato neanche mai aggiornato. Il 31-01-2020 c’è stata una delibera del Consiglio dei Ministri in cui è stato dichiarato lo stato d’emergenza proprio in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili. Ricordiamo che in quei giorni l’OMS aveva dichiarato il coronavirus epidemia internazionale. Proprio a partire da quella dichiarazione il governo avrebbe dovuto prevedere e sviluppare un piano pandemico nazionale, questo non è mai accaduto e ciò si collega con la mancanza di un piano pandemico europeo. Oggi il grande rischio è che l’Italia faccia dei sacrifici anche per mesi e poi una volta calato il picco e ridotti i contagi ci sia il pericolo dei contagi di ritorno dall’estero.”